Friday, November 11, 2011

Dylan Thomas e il cuccaggio

Leggere un libro in metropolitana è come essere quello che suona la chitarra con amici in spiaggia. Alla fine rimani solo come un coglione mentre gli altri limonano duro, o forse no?



Insomma io leggo in metropolitana, è una delle cose belle di essere senza un quattrino: non uso l'auto; faccio l'abbonamento ai mezzi pubblici e mentre ci sono sopra leggo, spesso da un capolinea all'altro della linea gialla, mentre vado al lavoro, o meglio, da un capolinea all'altro fino a poco tempo fa, ora che hanno aggiunto Dergano, Affori centro, Affori FN, e Comasina, sedersi e ficcare la faccia tra le pagine comodamente seduto non è garantito per niente, ma leggo lo stesso, equilibrista della pagina mentre il treno si agita; ma, come al solito divago: il fatto è che il numero di volte che leggere un libro ha provocato un abbordo o equipollente è ZERO, nil, nada. Be' fino a ieri - ammesso che di abbordo si trattasse.


Spiego: esco da un appuntamento con un avvocato (sì, lo so, meglio tutti in fondo al mare) che mi ha particolarmente scosso. Non credevo che rivivere la mia separazione semplicemente parlandone mi potesse far tremare le gambe, ma lo fa. Appena uscito dallo studio legale vago come uno zombie, mi avvio senza molta decisione e con qualche giro di troppo verso San Babila e la linea rossa, fumo nervosamente, ma sto finendo le caramelle - fumare, diciamocelo, fa schifo, ma mi sono giocato il basso trucchetto psicologico di associarlo al dolce e alla suzione, della serie "ecco come farsi un autogol".


Finalmente arrivo alla fermata della rossa, evito con cura l'ingresso che passa attraverso al Darty (l'umore in cui mi trovo semplicemente invita lo shopping compulsivo e me ne pentirei alla prossima scadenza dell'estratto conto della carta di credito) estraggo il fedele abbonamento ATM, beep, ed entro. Scendo al marciapiede in direzione Sesto e trovo un buco per sedermi sulle panchine - le gambe tremano ancora, Dylan Thomas mi aspetta.
Apro il libro e mi ci immergo, il rumore della gente e del treno che passa in direzione opposta sono irreali, ho di fronte immagini criptiche che a tratti sottolineo con la matita quando mi colpiscono.
Arriva il mio treno e ci salgo. Mancano solo due fermate a quella di Porta Venezia dove devo scendere, resto vicino alla porta scorrevole, in piedi. Continuo a leggere: gambe larghe e leggermente piegate, mi assesto bene lo zaino sulle due spalle, l'immersione nella pagina è completa, o quasi. Quasi perché come spesso accade (più spesso ai lettori di giornali o pseudotali) qualcuno è interessato all'articolo. Di certo non a me: barba lunga, sovrappeso, vestito alla cazzo e con abiti paludanti per non infliggere agli astanti la panza che nemmeno io sopporto, ma al libro.



È una donna minuta, di età indefinibile tra i 40 e i 50, occhiale importante, vestita di nero che piega il collo per sbirciare la copertina del mio libro. La ignoro - la prima volta. Continuo a leggere e mi imbatto in un altro bel passaggio: estraggo la matita, sottolineo, lei sbircia di nuovo. Il treno si è appena fermato a Palestro, le porte si richiudono, la prossima fermata è la mia.
Sorrido e sto per rimettermi a leggere quando mi balena nel cervello un "perché no?" e ci ripenso, anche perché lei non ha capito ancora che cosa stia leggendo e inclina di nuovo la testa per vedere bene la copertina.
Prendo il segnalibro, chiudo le pagine, e mostro direttamente la copertina alla donna, senza guardarla in cagnesco, ma sorridendo.
"Dylan Thomas" le dico
"È bello?" chiede lei.
"Sì, se le piace la poesia, anche se devo dire che non è delle più semplici: è un po' criptica."
"Sì, sì, mi piace. Lo sta leggendo in inglese..." non una domanda, una affermazione
"Sì, le traduzioni, soprattutto di poesia, tendono a fare mediamente schifo, quindi le evito."
Il treno arriva a Porta Venezia, rallenta, mi accorgo di quanto sia minuta quella donna, ma in quel momento penso "maneggevole" (scusate, l'astinenza). Lei riprende,
"Piacerebbe anche a me leggere in inglese, ma non lo so così bene."
Le sfodero un sorriso e un "Practice makes perfect."
Ride. "Sì, ma ci vuole tempo per studiare."
"Vero, " rispondo "ma è bello. Ora sto cercando di applicarmi al cinese."
Stiamo già scendendo dal treno, anche lei qui a Porta Venezia. Io mi avvio verso sinistra, devo andare a Viale Tunisia e salire sul 5 per andare da un'amica che ha invitato me e altri a casa sua per una cenetta - mi ci vuole proprio un po' di vino e compagnia stasera. Anche se questo scambio  di battute mi ha fatto momentaneamente dimenticare le gambe tremanti, sono ancora scosso. 
La donna minuta gira verso destra, la saluto mentre ancora solo un paio di passi ci separano "Arrivederci!" - come se ci credessi davvero. Mi risponde lo stesso saluto, già distante nel groviglio di persone che si avviano ognuna alla propria destinazione.

Era un abbordo? Non lo so. Almeno è stato un contatto con qualcuno che, pare, condivide uno dei miei interessi. 
Qualcuno che si è perso nella folla e forse è meglio così - è più poetico, adatto alla situazione. 
Torno ad essere quello che suonava la chitarra in spiaggia e rimaneva solo. 
Qualcuno da qualche parte qui vicino in questa folla deve stare limonando duro.

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Dylan Thomas e il cuccaggio by Dario Beltrami is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.
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