Sunday, October 19, 2014

Valigie, Armadi, Scatole

Stamattina sono entrato, dopo tanto tempo, nel mio armadio; no, non stavo fuggendo da un improbabile marito - del resto, che ci farebbe in casa mia anche se avessi (ho smesso) un'amante il cui consorte potesse essere geloso...? Ma divago, forse divano.... Uff... Le associazioni libere abbondano quando (per una volta) vuoi dire qualcosa, quasi volessero pure loro la loro parte di pagina e mente.

Stamattina, dicevo, sono entrato nel mio armadio: confusione. Appesi all'asta a rotelle un sacco di pantaloni, giacche, giubbotti, completi; un paio i cassetti semiaperti, da cui spuntavano lembi di costumi da bagno, magliette improbabili; la mensola assediata da pile di maglioni pesanti; un paio di sgabelli pieghevoli Ikea che ancora forse ricordano l'ultima festa per la quale li estrassi dal loro loculo; una scatola vuota in terra, affamata di ordine.

In quel crepuscolare, polveroso e soffocante bailamme c'era anche un che di rinfrescante. Strano come i momenti di chiarezza ci si presentino, così puntuali e scivolosi, come ciottoli a disegnare astrusi ghirigori di passi attraverso un torrente; I ciottoli sono più o meno sempre lì, a promettere avventure controcorrente, o sull'altra sponda di rapide normalmente letali - eppure ogni tanto emergono. I giorni intanto precipitano a valle, nella piena di tutto ciò che siamo quando non abbiamo tempo di essere noi stessi, in viaggio permanentemente, permanentemente distratti dalla assoluta dedizione a ciò che paga le bollette, a ciò che tiene insieme i pochi, sfilacciati legami con altri che riusciamo a mantenere intatti.

Il mio armadio, mi sono reso conto, è pieno di cose che non uso: è più una cantina all'interno di casa che un vivo contenitore di abiti e cianfrusaglie di uso comune. Il mio armadio è un fossile di altri tempi, il residuo secco di qualcosa che un tempo forse era vivo, etereo come una medusa; è la traccia mucosa di una chiocciola che passava di lì e che il tempo ha essiccato, è diventato un fragile ricordo che si sbriciola appena tenti di sollevarlo dalla sua improvvisata tomba di giorni.

Ho respirato a tratti, sommerso dalla vita, lontano da quei facili, ma scivolosi approdi di chiarezza che la punteggiano. Ora che mi trovo per un attimo in bilico sull'apice sdrucciolevole della consapevolezza senza dover pensare a quando potrò riemergere a prender fiato di nuovo mi rendo conto che la mia vita si muove su un paio di rotelle, sempre accanto a me, o che appesa a uno spallaccio dondola dalla mia spalla destra, o che si riversa alla rinfusa dentro sacchettoni blu improvvisati e infilati in auto metre il tempo fa tic-toc e tutto quello che vorresti è poter premere il tasto "pausa".

Sono figlio di una valigia, cugino di un paio di cesti: uno è pieno di vestiti sporchi, l'altro di quel che esce dal ciclo di lavaggio rapido; il tutto un patchwork multicolore, un timido psittaciforme che sta brevemente appollaiato sul suo trespolo a forma di stendibiancheria e che col becco robusto ci si abbarbica quando cerchi di toglierlo da lì per rimetterlo nel ciclo di cesto, valigia, lavatrice, cestino, stendino e così a ripetere, senza riposo, senza fiato, senza una singola polverosa notte passata in un armadio.

Non c'è un vero punto in tutto ciò - d'altra parte come potrebbe esserci visto che tutto vortica senza sosta - il vortice si attenua solamente  in questo preciso istante: la corrente mi scorre attorno senza travolgermi, cerco di non perdere l'equilibrio, appollaiato (un po' come il pappagallo di cui sopra) sul mio ciottolo di consapevolezza momentanea, assediato dalla vita in piena che scorre per i cazzi suoi verso valle, verso altre rapide, altri cesti, valige, verso altre scatole, una delle quali mi attende a due metri sotto terra là da qualche parte, domani.

Domani,  prima accomodarmi a dormire protetto da ogni molesto risveglio da due bei metri di terra, ma, comunque, domani; domani tornerò a nuotare, a respirare, senza timore di affogare.
Domani forse avrò un armadio che sa chi sono, non una stratificazione fossile di ciò che non ho messo in valigia.
Oggi, nel frattempo, sono sveglio, so parte di ciò che voglio: aggrapparmi a questo ciottolo, a questo appiglio, alla banale consapevolezza che ciò che vive non s'impolvera.
E allora compro altre scatole, scatole che non mi seguiranno, scatole per proteggere dalla polvere tutti quei maglioni abbandonati, scatole che lascerò in attesa del mio ritorno, o solamente di due bei metri di terra.

Compro scatole e condivido questo momento perché, chissà, dalla cima di questo ciottolo l'orizzonte sembra respirare più ampio e profondo.

E no, non sono ancora immobile in una scatola sepolta sotto plotoni di lapidi ipocrite.


Scritto più che altro per ricordarmi che ho trascurato queste pagine e molto altro per troppo tempo.

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