Haiku – una
prospettiva personale
L’haiku è una forma poetica ben codificata nella
tradizione giapponese ed esistono risorse a sufficienza nell’arcipelago della
rete (e immagino anche in quello nipponico) per capire di che si tratti.
La definizione tecnica di haiku c’entra solo in
parte con quello che voglio scrivere qui, ma diamola pure: l’haiku è un
componimento poetico di origine nipponica composto di 17 sillabe, normalmente
diviso in tre versi di 5, 7, 5 sillabe, rispettivamente; nella forma più
consona alla tradizione il testo deve ricordare una stagione dell’anno (il
cosiddetto kigo) e la sua natura,
come affermava Bashō, dovrebbe essere sia transitoria sia immutabile -
不易流行 (ふえきりゅうこう): “lo scambio tra il transitorio e l’immutabile è
il fulcro dell’anima dell’haiku”. Togliete il riferimento stagionale e avrete
un senryu, tipicamente in forma comico-ironica, le varianti sono molteplici e
non le menzionerò (vedete i link in fondo)
La forma nipponica originaria si basa sul concetto
di on il quale differisce leggermente
da quello di sillaba (sul quale si
basano ad esempio la lingua italiana e quella inglese). Non vi tedio sull’on: qui se ne trova una prima
definizione: http://en.wikipedia.org/wiki/Haiku.
Pur tenendo conto di queste differenze di
nomenclatura, mi interessa che esista una forma poetica che fa della brevità il
proprio elemento basilare. Sono d’accordo col veroboso Polonio quando afferma
che la brevità è l’anima del genio.
Per me –
chiamatemi egocentrico – la poesia haiku è:
1.
Sorprendente: accostandocisi come lettore è incredibile
come poche semplici parole possano essere tanto evocative;
2.
Stimolante: il fascino che esercita sembra spinga
naturalmente a tentare di cimentarsi nel genere;
3.
Potente: riesce a condensare immagini, sensazioni,
emozioni, immagini complesse in uno spazio minuscolo
4.
Maestra
di sintesi: Nell’oceano
di tera, petabytes in rete da cui trarre un senso, l’haiku è conciso e diretto;
L’haiku è scrittura per sottrazione, è distillazione di pensiero alla sua sostanza
in modo che comunichi il proprio messaggio essenziale. L’haiku aborrisce la
prolissità, costringe chi scrive a rimuovere tutto il superfluo
5.
Droga: provoca dipendenza e assuefazione -o
almeno le ha provocate in me nel corso degli anni. Quando si inizia è difficile
smettere di pensare diciassette sillabe alla volta; ci si sorprende a contare
con le dita la lunghezza dei propri pensieri per vedere se entrano nella sua
brevità. Da questo punto di vista, ammetto che l’abuso di haiku può risultare
deleterio se si vuol scrivere altro –
6.
Sfida: scrivere
buoni haiku non è facile
La forma dell’haiku è molto distante da quella
tradizionale occidentale, ma dissento dall’opinione di alcuni critici o
letterati sul fatto che si tratti di uno sterile, innaturale esercizio, magari di
chi non è in grado di cimentarsi nelle forme più auliche che ci vengono dalla
tradizione e dai suoi esponenti, maestri d’endecasillabi e quant’altro.
Il motivo del dissenso è semplice: credo ci sia
valore nella sintesi, nella scrittura per sottrazione, nella distillazione del
pensiero a creare immagini apparentemente elementari, comunque capaci di comunicare sensazioni ed emozioni al lettore.
Credo anche nella libera scelta del
mezzo espressivo.
L’haiku non è ritmico (se non con molta fatica), o
musicale (con altrettanta o forse più) e che la sua brevità ne delimita il raggio
d’azione. L’haiku per me, tuttavia, sta a forme più lunghe un po’ come
l’ideogramma sta alle parole. Mi spiego: l’ideogramma (ad esempio quello cinese
- e si sa, i giapponesi quelli hanno preso in prestito) è conciso, potente, ha
in sé informazione e significato in uno spazio ridottissimo: rispetto a singole
lettere affiancate a creare parole (in lingue che si basano su un alfabeto), la
densità, l’entropia di informazione è molto più alta.
Credo che la forma apparentemente angusta
dell’haiku questo costringa a fare: aumentare la densità di informazione.
Scegliere con cura. Lo spazio è poco; solo l’essenziale può sopravvivere, o
quello che lo evocherà.
Vorrei evitare facili fraintendimenti in chi mi
legge: questa non è un’apologia dell’haiku o una denigrazione di altre forme poetiche.
Affermo soltanto che credo l’haiku in qualunque lingua possa diventare potente
strumento di comunicazione e di espressione poetica, certo in un modo che si
discosta da quello della tradizione occidentale che lega la poesia al
ritmo, al metro e al suono, ma che, al pari di essa, può arrivare a comunicare
un significato al di là di quello letterale.
Brevità in luogo di ritmo, sottrazione in luogo di
musicalità, distillazione di pensiero.
Non sono un letterato, un critico, uno scrittore,
semmai sono uno scrivente, uno scribacchino, ma nel mio guscio di noce, nelle
mie diciassette, crudeli sillabe mi sento re dell'universo infinito.
Haiku: Sintetizzare, non sbrodolare!
Haiku –a personal perspective
Haiku is a well defined form
of poem in the Japanese tradition and there are enough resources in the web’s archipelago
(and I guess in the Japanese one) to understand what it is.
The technical
definition of haiku has only little to do with what I want to write here, but
let’s have it: haiku poems are of Japanese origin and are made up of 17
syllables, usually split in three verses of 5-7-5 syllables, respectively; in
its most traditional form the text should be reminiscent of a season (the
so-called kigo) and its nature, as Bashō stated,
should be both immutable and transient - 不易流行 (ふえきりゅうこう):
“An interchange between the transient and the immutable is central to the soul
of haiku.” Remove the seasonal allusions and you have senryu, typically comic-ironic,
plus other variations I won’t mention (see the links section).
The original Japanese
form is based on the concept of on
which is subtly different from that of syllable (on which are based, for
instance the English and Italian languages). I won’t bore you about the on: here is a first definition: http://en.wikipedia.org/wiki/Haiku.
Considering these
differences in nomenclature, what I’m interested in is the very existence of poems
that make brevity their basic element. I agree with the verbose Polonius when
he says that brevity is the soul of wit.
For me – call me egocentric - haiku poetry is:
1.
Surprising: approaching them as a
reader it is incredible how few, simple words can be so evocative
2.
Stimulating: the charm it has seems
to naturally push one to try the genre
3.
Powerful: it can condense images, sensations,
emotions, complex imagery in a minuscule space
4.
Master of synthesis: In the oceans
of online tera, petabytes to get a sense out of, haiku is concise and direct;
haiku is writing by subtraction, thought distillation to its substance so that
it communicates its essential message. Haiku abhors verbosity, forces the
writer to remove all things superfluous
5.
Drug: it causes dependence and
addiction – or, at least, it caused them in me over the years. Once started it’s
difficult to stop and think seventeen syllables at a time; one finds oneself
counting with one’s finger the lengths of one’s thoughts to see if they fit its
length. From this standpoint I admit that an abuse of haiku can be harmful to
one’s writing other types of stuff – plus,
6.
Challenging: writing good haiku is not easy.
Haiku poetry is very far
removed from the Western tradition, but I don’t agree with the opinion of some
literates or critics about its being a sterile, unnatural exercise of one who
might be unable to tackle more aulic forms coming from tradition and its
members, masters of iambic pentameter and so forth.
I disagree for a simple
reason: I think there is value in brevity, in writing by subtraction, in
thought distillation to create apparently simple images that are however
capable of communicating sensations and emotions to the reader. I also believe
in free choice of medium to express oneself.
Haiku is not rhythmical
(if not with much effort), or musical (with as much if not more) and its
brevity circumscribes its scope. Haiku for me, though, are to longer poems a
bit as ideograms are to words. I’ll explain: ideograms (for instance Chinese
ones, and it’s well-known that Japanese borrowed them) are concise, powerful,
have in themselves information and meaning in a tiny space: compared to single
letters one next to the other to create words (in alphabet-based languages),
the density, entropy of information is much higher.
I believe that the
apparently narrowness of haiku forces one to do just that: increase the
information density. Choose with care. The space is limited; only the essential
can survive, or what will evoke it.
I’d like to avoid easy
misunderstandings in who reads this: This is not an apology of haiku or denigration
of other forms of poetry. I’m only stating that I believe haiku in whatever
language can become a powerful poetic communication and expression medium,
surely in a way that differs from the one of the Western tradition that
associates poetry with (rhythm, meter, and sound), but which, likewise, can
aspire to communicate meaning beyond the literal one.
Brevity instead of
rhythm, subtraction instead of musicality, distillation of thought.
I’m not a literate, a
critic, a writer, rather I’m one who writes, a scribbler, but in my nutshell,
in my seventeen, cruel syllables, I count myself a king of infinite space.
Haiku: Summarize, don’t
fool around!
xxxx
Links
What is Haiku
|
|
Fluidity and immutability
|
http://www.csse.monash.edu.au/~jwb/cgi-bin/wwwjdic.cgi?
(then enter haiku)
|
Wikipedia (Italiano)
|
|
Wikipedia (English)
|
|
Haiku wiki
|
|
Manifesto della poesia haiku in lingua italiana (Cascina Macondo)
|
|
Haiku Presence
|
Haiku & Me by Dario Beltrami is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.
Based on a work at ubhaikuitous.blogspot.com.
Permissions beyond the scope of this license may be available at http://ubhaikuitous.blogspot.com.
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