Monday, December 26, 2011

Trieste

Perdersi in una città che non conosci è un po’ come fare l’amore o, come direbbe Forrest Gump, come una scatola di cioccolatini – non sai mai quello che ti capita.



Se però la città è accogliente, stupenda, pulita, elegante, ma sobria, avvolgente, ma lieve come lo è Trieste, be’, allora rischi di innamorarti.



Io mi ci sono perso, per una mattina, poi per un pomeriggio e una sera. Trieste mi ha sussurrato da ogni angolo, invitandomi a scoprirla, aprendosi a me e quell’invito stesso non ha fatto che aumentare la voglia di esplorarla – una voglia che cresce come per gli amanti quella di baci e carezze, le rare volte in cui capita di trovare una sintonia apparentemente perfetta con la propria amante.
Così sempre più desideriamo addentrarci nell’altro, vedere fino a che punto può spingersi l’estasi di quel momento, quanto la possiamo prolungare, e, forse, anche mettere alla prova quella dolcissima sincronicità di cuori: scoprire se e dove si spezza. Pain is so Close to Pleasure avrebbero commentato i Queen.
Per me Trieste ha il respiro di uno sguardo assonnato al mattino che si allarga sul mare, ha la meraviglia di quell risveglio magico cui fanno eco il volo pigro dei gabbiani e gli irregolari rintocchi delle barche che ondeggiano cullate dal dormivegla delle onde.
Ecco, se Vienna avesse il mare le assomiglierebbe, sebbene Trieste non sia così monumentalmente austroungarica. Trieste non è caciarona, ti presenta la sua bellezza, ma non se ne vanta, anzi un poco la nasconde, devi andartela a cercare, ma sai che non è mai una bellezza lontana, altezzosa, o difficile da raggiungere: è lì, ti aspetta, se solo hai la pazienza di cercarla – e non ce ne vuole poi molta.
Il sole al mattino la prende alle spalle, dai monti che la circondano, ma non la schiacciano. La città è come un gatto adagiato nel suo cesto di vimini, una zampa che ne penzola libera; di notte dorme, dando le spalle all’alba; quando il sole si alza al mattino dietro di lui Trieste ancora sonnecchia ancora qualche minuto, si gode quel tepore che viene da oriente prima di aprire gli occhi e farsi meravigliare dal mare infuocato.
Certo, mi manca l’esperienza di Trieste quando il vento è arrabbiato e la sferza; forse sono stato  fortunato a viverla durante un paio di giorni a ridosso del natale in cui tutto era cieli tersi e meraviglia, albe e tramonti colorati come arcobaleni, cieli spruzzati di poche nubi ma sereni, tuttavia è così che lei mi ha accolto ed è così che mi ha conquistato.




Sono in buona compagnia. In giro per la città si trovano le statue a grandezza naturale di personaggi illustri che l’hanno abitata.
Umberto Saba, Italo Svevo, James Joyce.Scrivere di Trieste, anzi, scrivere in generale a Trieste, è quasi come pattinare sul ghiacchio. Cominci una frase e ti sembra di potere andare avanti all’infinito. Ti siedi in Piazza dell’Unità d’Italia e contornata da tre lati di splendidi palazzi che lasciano il terzo lato di quella distesa libero al vero protagonista, il mare, e i pensieri cominciano a navigare liberi.




Trieste, città di confine, non solo fisico per la presenza molto prossima della Slovenia a pochi chilometri, ma anche per quel confine onirico che la solca e si rende visibile agli occhi di chi sa ascoltare – la città è in bilico tra la veglia e il sogno; è presenza reale e sogno in Potenza. Chiudi gli occhi e la visione ti si sdoppia tra le pietre che senti sotto i piedi e attorno a te e il tuo mare interno che, in quell luogo, ha spazio libero.

Che dire poi della gente…  Non ne ho incontrata molta (sono cintura nera di fatti miei), ma da quel poco che ho potuto constatare in due giorni sul campo c’è gente di cuore a Trieste. Esempi? I migliori consigli mai ricevuti da una receptionist per andare a mangiare (ve li giro… Osteria le Botti, in via Torino, per la carne, Ristorante Menarosti, in via del Toro, per il pesce – squisito!), piacevolissime persone con cui conversare (due di queste incontrate per caso al Menarosti di cui sopra, incuriosite dal mio scribacchiare incessante sul taccuino, un’altra alla colazione in albergo, simpaticissima signora pure lei innamorata della propria città), una tavolata di amici alla trattoria le Botti che hanno prodotto, per la festeggiata quarantenne, un regalo stupendo: un album di fotografie dall’infanzia fino a quell giorno stesso, commentato; insomma, ho respirato un’apertura e una cordialità che da una città del nord, quasi Austro-Ungarica, e di confine non ti aspetteresti. Trieste ha dalla sua che non è una metropoli nella quale l’anonimato ti premia; ha ancora una dimensione vivibile dove chi può, se può, ti da una mano - sì anche a te chiaramente forestiero, anzi, forse soprattutto per quello. Chi vive a cavallo di un confine sa bene cosa significa sentirsi straniero, ne ha fatto esperienza attraversando quello stesso confine, in un senso o nell’altro.


L’ultimo giorno, alla vigilia di natale, purtroppo me ne sono dovuto andare, rientrare a Milano – lei, Trieste,  stava lì, in bilico come sempre tra la veglia e il sogno. Mi sono messo in auto, ho salutato le strade ancora vuote e sono partito, cercando di non guardarmi indietro, ma lei mi rincorreva negli specchietti retrovisori, incorniciata dall’oro del sole che sorgeva alle sue spalle. Devo dire che, per un momento, incolpando l’eccessiva la luminosità di quell riflesso d’alba, ho pianto. Ancor prima che quella lacrima cadesse però mi sono detto che prima o poi tornerò a trovare città stupenda e chi ci abita.


Quindi, arrivederci a presto, Trieste. Ti sei aggiunta alle cose di cui sento la mancanza ogni giorno, ma, rispetto ad altre, hai il vantaggio di essere raggiungibile – basta mettersi in viaggio verso di te – non saresti la prima mia relazione a distanza, dopo tutto.

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Trieste by Dario Beltrami is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.
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